14 marzo 2012

Riflessione sul senso e le aberrazioni del cosiddetto "fantasy"

di Andrea Pachetti

La pubblicazione di nuovi racconti legati al Ciclo della Terra Morente su Urania mi fornisce l'ennesima occasione per riflettere sul senso dell'attuale narrativa fantasy, riferendomi nuovamente a Vance e alle opere classiche in genere. Come ho già avuto modo di affermare in passato, quando sono triste di solito leggo qualche passo di un romanzo di Jack Vance. Spesso càpita che da un paragrafo finisca per terminare l'intero capitolo, poi il libro stesso. Ciò per dire che Vance nei suoi romanzi più ispirati appare ai miei occhi come uno dei più grandi narratori del Novecento, sebbene io tenda a lasciare questo genere di giudizi a critici più talentuosi del sottoscritto.

Il punto della questione è che, come diverse persone che conosco (e magari anche molti di coloro che leggono il blog per caso), la mia vita è stata intrecciata a doppio filo col cosiddetto genere fantasy, sia nella sua forma primaria e puramente narrativa, sia nelle forme derivate che vanno dai giochi di ruolo ai videogame.

Ho avuto la fortuna di entrare in contatto in giovane età con alcuni dei romanzi che molti cultori ritengono capisaldi del genere, La Storia Infinita e Il Signore degli Anelli: personalmente faccio una gran fatica a considerare tali libri parte effettiva del "genere" fantasy, per motivi che esporrò tra poco e che spero risulteranno sufficientemente convincenti.