di Andrea Pachetti
Stavo camminando su una strada deserta e l'asfalto restituiva il rumore ritmico dei miei passi, rimbombando nel silenzio. Tump-tump. Ho pensato a questo ritmo regolare, sempre costante nel suo incedere. Fino alla fine.
Mi è venuto in mente il battito cardiaco, la vita in sé. L'assenza di pulsazioni. Ho pensato a Today I die, di Daniel Benmergui.
In questo breve scritto cercherò di presentare delle peculiarità stilistiche del gioco in questione, iniziando con una divagazione sul senso distorto accumulato da alcune immagini archetipiche. Parlerò diffusamente della trama e della conclusione del gioco stesso, per cui attenzione agli spoiler.
Bene, la premessa: non sono mai riuscito a cogliere il senso vero del suicidio, ovvero come si possa arrivare a un mood mentale che spinga a un simile atto. Immagino che per chiunque altro valga la stessa cosa, nel senso che se qualcuno giunge a quel tipo di percezione, poi non ha la possibilità di raccontarla e descriverla.
Per questo motivo trovo abbastanza ridicola l'immagine tipica del suicida, che affida il suo destino a una corda ben fissata a un pietrone massiccio, da gettare in uno specchio d'acqua profondo. Bisogna trovare un bel sasso, una corda resistente, poi trascinare il pietrone fino alla località desiderata a braccia... No, tale rappresentazione non riesce a reggere la prova del serio realismo.
Questa immagine mi procura lo stesso effetto dei film poliziotteschi di Maurizio Merli: non ho mai capito come facesse la gente a prenderli sul serio, dato l'evidente intento grottesco. Come facessero le donne ad adorare quel personaggio farsesco, quel baffone maschilista dalla battuta scontata sempre pronta. Dispensatore di sganassoni, manate e calcioni rotanti che nemmeno Chuck Norris, coadiuvato da effetti sonori à la Bud Spencer, per rendere il tutto ancora più parossistico.
Vedo dunque questa piccola donna pixellosa giù in una profondità marina, circondata da meduse e pericolosi piranha e non so cosa pensare. Mi è chiara sin dall'inizio l'evidente simbologia manichea, che conduce verso la generazione della luce, atta a difendermi dall'oscurità dei pesci maligni. La colonna sonora al piano non aiuta: è molto triste, malinconica, mi stringe il cuore. Osservo con curiosità i bit dei suoi lunghi capelli fluttuanti, guardo con timido sgomento il suo vestito ondulato, il corpo arcuato che tende verso il vuoto.
Ancora più evidente per me è la potenza delle parole, che nel gioco di Benmergui risultano le vere protagoniste, i personaggi principali. Con un semplice gioco in Flash questo designer ha fatto compiere un enorme salto in avanti ai videogiochi rispetto a qualunque avventura grafica del passato, uno smacco persino allo Scumm. Qui i token non sono semplici agenti manipolatòri della realtà, ma la realtà stessa. Le parole, insomma, non risultano più solo verbi ma Verbo, comunicazione emozionale dell'intimo e rappresentazione oggettiva allo stesso tempo. Sono i bonus e i mezzi narrativi di tutta l'esperienza ludica.
Questo videogame è poesia in senso proprio, dato che un esemplare narrativo domina sempre gran parte dello schermo; nel corso del tempo diviene di fatto il terreno di gioco, in cui le azioni (attraverso le parole) si concretizzano e ne permettono l'evoluzione.
Non più solo verbi, dicevo. Ci sono tre categorie sintattiche in esecuzione: verbi, nomi e aggettivi. Questi ultimi servono a scandire lo scorrere dei livelli (o meglio, ambienti), passando dal mondo morto a quello oscuro, finendo poi nella realtà dolorosa. I nomi aggiungono un'ulteriore caratterizzazione a questa semantica: il mondo morto è pieno d'ombre, mentre il mondo libero finale sarà saturo di bellezza.
I verbi, come da prassi, delimitano invece l'insieme di azioni esercitate della nostra protagonista che, a poco a poco, segue un percorso di resurrezione personale, partendo dal quieto morire per giungere a risplendere (di luce propria) e nuotare "vivendo" il suo mondo.
Ogni azione quindi corrisponde a una precisa valenza simbolica: superato il mondo morto si sconfigge l'oscurità con la luce appena generata, per continuare nel cammino iniziatico della rinascita [o metempsicosi]. La luce è ancora la chiave stilistica per lottare nel mondo doloroso, contro i numerosi riflessi oscuri generati da noi stessi [forse le cause che hanno spinto al suicidio, chissà].
In questo momento interviene un nuovo archetipo, quello della bolla. Da una parte essa rievoca la protezione contro gli agenti esterni, dall'altra suggerisce l'eco della forma circolare, dell'eterna ripetizione. Nel dolore, le bolle tengono lontani i riflessi oscuri per poi inglobarli e renderli puri. Il mondo dunque si libera, pervaso da aneliti di bellezza. E' giusto riflettere sulla scansione ambientale a cui abbiamo assistito: dalla morte, passando all'oscurità, alla sofferenza, fino alla libertà.
Nella conclusione della vicenda, si pone infine un dilemma di natura sentimentale e morale: giunge il nostro compagno, che attende speranzoso. La terzina poetica muta e si completa in una quartina, in cui sceglieremo se riemergere da soli oppure in due come una cosa sola. Nuoterò fino a che giungerai tu, oppure nuoterò meglio da sola, suggerisce il nostro piccolo avatar. La scelta anche stavolta è ardua, toccante, sincera. Questa è una scelta che lascerà il segno.
Today I Die, inserito in un contesto di morte, risulta quindi paradossalmente un inno alla vita e alla riscoperta del sé. Certamente nebuloso e incomprensibile nei suoi significati più reconditi: il percorso di rinascita è reale oppure solo immaginario? La resurrezione è da vivere puramente come simbolo di un rito consolatorio o un concreto atto di riconquista e ascesa verso una realtà migliore, una realtà cioè tangibile e concreta, nella quale vivere?
È comunque un'esperienza ludica da celebrare e giocare molte volte, lasciandosi cullare da emozioni davvero intense. Le domande a cui è possibile dare una risposta sono poche, così come nella vita reale: anche in caso positivo, ogni risoluzione del mistero sarebbe purtroppo puramente soggettiva. In questo senso, Today I Die rappresenta un elegantissimo riflesso iconografico dei molti limiti della percezione umana.
complimenti vivissimi per l'articolo. è davvero affascinante e soprattutto Vero.
RispondiEliminaNicola Traversoni
I miei ringraziamenti, Nicola: ricevere un feedback e sapere che qualcuno effettivamente legge ciò che scrivo è sempre assai piacevole. E se sei il Nicola T. di Insert Coin ricambio i complimenti, mi sembra un progetto interessante.
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