30 gennaio 2015

"Gli intellettuali rovina dei fumetti?" (1968)

di Andrea Pachetti

Se gli anni Cinquanta, per i fumetti, rappresentarono un decennio pieno di polemiche e demonizzazioni strumentali, gli anni Sessanta possono senz'altro considerarsi invece quelli della loro consacrazione nell'ambito della cultura di massa: nel 1961 uscì il saggio I fumetti di Carlo Della Corte; nel 1964 Apocalittici e integrati, di Umberto Eco, nel 1965 il primo numero della rivista Linus. Si tenne nello stesso anno il 1° Salone Internazionale dei Comics a Bordighera, trasferitosi poi dall'edizione successiva a Lucca dove rimase, mietendo sempre maggiori consensi, fino al 1992.

Se si pensa che ciò pose fine alle polemiche si commette un errore, poiché risale al 1962 anche l'uscita del primo numero di Diabolik, archetipo del fumetto nero all'italiana che generò per tutto il decennio numerosi epigoni e altrettante denunce e sequestri, arrivando fino al processo di Milano dell'ottobre 1965.

Nello stesso modo si amplificò anche il dibattito sulle diverse visioni relative al mondo dei fumetti: quella nuova, più impegnata ed erudita propria degli intellettuali, contrapposta alla visione classica degli appassionati, nella quale la componente di divertimento ed evasione era ancora preponderante.

Si prefiguravano quindi i prodromi di quello scontro intellettuale che prosegue ancora adesso, tra chi vuole inserire il fumetto in un contesto forzatamente letterario e chi ne rivendica le caratteristiche proprie, legate certo anche alla sua valenza popolare e di intrattenimento; i primi, spesso in modo intellettualmente scorretto, usano la semantica legata al libro e ai formati editoriali (come quello del graphic novel) per porre una discriminante ideologica tra cosa valga la pena leggere e cosa no, replicando nei fatti il superficiale atteggiamento intellettualistico che, molti anni prima, attribuiva con sdegno all'intero medium fumettistico una qualifica di serie b.

Tale dibattito si concretizzò nella manifestazione di Lucca 4, del 1968, l'anno passato poi alla storia proprio per le sue "contestazioni". Troviamo traccia della questione in un articolo del giornalista e scrittore Stefano Reggiani (1937-1989) su La Stampa: egli spiegava che «al recente Salone di Lucca, dedicato soprattutto ai collezionisti, un gruppo di autori e di appassionati ha "contestato" la speculazione intellettuale sui fumetti, ha rifiutato le parole difficili degli studiosi per rifugiarsi nel disimpegno»[1].

Reggiani poi proseguiva: «Hanno tirato un sospiro di sollievo coloro che si erano sempre mostrati insofferenti verso la dotta invasione degli universitari: subivano l'analisi dei fumetti come una specie di terrorismo ideologico dei colti verso gli incolti. La "fumettologia" era diventata una scienza per eletti: a leggere i comics non c'era più gusto, dietro ogni sorriso poteva celarsi un significato arcano, dietro ogni incomprensione una lacuna culturale».

Carlo Della Corte
(fonte: unive.it)
Il giornalista poi contrapponeva nel dibattito due intellettuali dell'epoca che si erano occupati di fumetti, Eco e Della Corte, che abbiamo citato all'inizio per le loro monografie sull'argomento. Se il nome di Umberto Eco risulta ancora oggi familiare ai più, forse è necessario spendere qualche parola in più sul secondo: veneziano, le sue attività spaziarono dal giornalismo televisivo alla critica, dalla letteratura alla poesia[2].

Per quanto riguarda i temi a noi più vicini, il suo saggio sul fumetto per Mondadori è la prima monografia italiana dedicata all'argomento, ma se ne occupò anche con numerosi articoli su quotidiani e riviste, arrivando poi alla collaborazione con l'Editoriale Corno; altrettanto degno di nota il suo interesse per la fantascienza, che si concretizzò soprattutto in un libro di racconti, Pulsatilla Sexuata, pubblicato presso Sugar nel 1962[3].

Della Corte commentava dunque su La Stampa che a Lucca «c'è stata una salutare reazione contro gli eccessi e gli abusi. I fumetti sono fatti prima di tutto per divertire. Le dissertazioni erudite e i pasticci culturali dettati dalla moda non hanno niente a che fare coi comics. I primi saggi di Eco sui fumetti erano acuti e divertenti, poi gli epigoni sprovveduti hanno reso tutto più falso e più noioso».

Proseguì con un commento che suona oggi a suo modo profetico, poiché il tipo di atteggiamento descritto si è protratto fino alla critica attuale: si veda il caso recente della riscoperta del cinema "di serie b", dove tutto è improvvisamente apparso bellissimo, dopo essere stato per anni considerato mediocre. Si dunque persa, in questa come in altre situazioni, ogni capacità di discernimento in preda a un ingiustificato entusiasmo nostalgico, mescolando i Mario Bava coi Pierini.

«Capiterà come col cinema. Da ragazzi giuravano su Béla Balázs e sullo specifico filmico. Poi abbiamo rivisto alcuni presunti classici del cinema e ci siamo vergognati. Non bisogna mai entusiasmarsi troppo. La nostalgia ci ha giocato un brutto tiro. Abbiamo perso il senso della prospettiva. Tutti i vecchi album ci sembrano opere da biblioteca...»

Ovviamente Eco era di diverso avviso: «Che cosa vogliono i contestatori? Che non ci occupiamo più di fumetti? Non vedo la ragione per trascurare un fenomeno che coinvolge come lettori milioni di persone. A questo livello il discorso è da irresponsabili. Se invece la protesta intende portare ad una chiarificazione può essere bene accolta».

Seguì poi un botta e risposta col giornalista Reggiani:

«Da cosa nasce la crisi nel mondo dei fumetti?»

«Dalla confusione delle competenze, da un equivoco di fondo. Non si possono trasportare sulla stessa barca studiosi e collezionisti, docenti universitari e disegnatori. Il dialogo è impossibile. Sarebbe come invitare a discutere in un congresso di medicina cardiologi e cardiopatici».

«I collezionisti, gli esperti parlano da "ammalati"?...»

«È gente che ha confuso la nostalgia con la storiografia. Una cosa è divertirsi tra amici a ricordare i titoli dei primi albi di Topolino, un'altra cosa è studiare i fumetti».

«Vuol dire che l'interesse scientifico per i comics è tutt'altro che esaurito?»

«Ci sono ampie zone ancora in ombra. Uno studio recente, per esempio, ha dimostrato che per i bambini al di sotto di una certa età è difficilissimo distinguere i tratti fisionomici dei personaggi. Quei segni che per noi vogliono dire ira, riso, stupore per loro non significano nulla. Mancano studi sui rapporti tra parole e disegno».

«Possiamo dire che lei contesta alla rovescia. Dei fumetti ci si occupa troppo poco seriamente...»

«È il difetto di coloro che hanno scoperto il fumetto solo come oggetto di snobismo culturale. Non ci si può accontentare di ripetere i luoghi comuni. Se qualcuno vuol compiere uno studio indaghi, ad esempio, sulle discriminanti buoni-cattivi, personaggi positivi e negativi, eroi e perseguitati nel recente fumetto italiano. Potrebbe scoprire delle costanti singolari. L'importante è lavorare seriamente, non da improvvisatori, non da orecchianti. Pensi che sono state fatte dotte dissertazioni sulle storie dell'avaro Paperon de' Paperoni come specchio deformante di certa società capitalistica americana, prima di scoprire che il fumetto in questione era disegnato in Italia»[4].

__________
[1] Tutte le citazioni presentate provengono dunque da Stefano Reggiani, «Polemica nel mondo di Topolino.» La Stampa Anno 102 Numero 292 (20 dicembre 1968): 9

[2] A Carlo Della Corte è stato dedicata una Giornata di studio nel 2012. Rimando a essa il lettore interessato ad approfondire, in particolare è da notare l'intervento di Eugenio Burgio dedicato ai fumetti.

[3] Si veda in proposito l'approfondimento curato da Vittorio Catani e Renato Pestriniero su Delos 64.

[4] Eco si riferisce quasi sicuramente ad alcune delle relazioni presentate durante la 1° tavola rotonda internazionale sulla stampa a fumetti a Bordighera.

4 commenti:

  1. Splendido articolo che stimola la riflessione, al di là del "tifo" che ognun* può esprimere rispetto alle diverse posizioni. Complimenti sinceri.
    Orlando Furioso

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    1. Orlando, grazie della lettura e del commento. Spero (non in tempi biblici) di poter proporre altri contenuti sullo stesso tema. Ci sono moltissime cose da dire.

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  2. E pensare che certe assurdità le abbiamo avute anche nei 90 con il processo a "L' intrepido" e le frecciate al fumo su Tex! Mah! Dai 2000 però ricordo male io o grazie al cielo certe idiozie non ci sono più?
    Sempre interessanti comunque certe chicche!

    "Pensi che sono state fatte dotte dissertazioni sulle storie dell'avaro Paperon de' Paperoni come specchio deformante di certa società capitalistica americana, prima di scoprire che il fumetto in questione era disegnato in Italia»"

    Un po semplicistico come concetto? A che si riferiva di preciso? Alle storie di Martina?

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    1. Le ultime assurdità che ricordo sono legate a Kenshiro, Dragon Ball, Sailor Moon e Pokémon, quindi forse dopo non ci siano state più grosse polemiche mediatiche su queste cose, ma non lo escludo.

      Riguardo le storie Disney, impossibile dirlo senza avere i testi di quelle "dotte dissertazioni". Quello che posso dire è che in generale durante tutti gli anni Cinquanta il fumetto fu condannato in toto da certi ambienti della sinistra italiana perché secondo loro, essendo prodotto in America, importava dottrine capitalistiche con volontà colonizzatrici... Le loro proteste si unirono a quello del fronte cattolico contro le "violenze". E poi i due si scontrarono tra loro. Era un periodo piuttosto strano, che meriterebbe un'analisi più approfondita :)

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