22 agosto 2013

Pacific Rim (2013), note a margine

di Andrea Pachetti

Questo post ha avuto una gestazione molto lunga e, nella sua idea iniziale, doveva contenere numerosi rimandi, relativi a riferimenti storici e critici sull'argomento analizzato.

Successivamente mi sono convinto a cancellare tutto e a realizzarne una versione più snella e leggibile, così da rispettare maggiormente il senso del film stesso e delle tesi che voglio portare avanti in questa sede.

Altrove mi è capitato di definire Pacific Rim «la cosa più bella che poteva accadere al cinema mondiale»: un commento volutamente iperbolico e roboante, che spero troverà almeno parziale conferma in ciò che mi appresto a scrivere. Un commento roboante come un elbow rocket in faccia, appunto.

1. Est contro ovest

Se dovessi riassumere la trama del film in poche parole, direi questo: «In Pacific Rim c'è un robot gigante che picchia un mostro altrettanto gigante impugnando una nave». Dal mio punto di vista questa immagine risulta essere una delle scene più rappresentative, da cui si può dedurre la reazione dell'osservatore nei confronti dell'intera pellicola: di esaltazione, divertimento e appagamento totale, oppure di placida sufficienza, aggiunta a un leggero disgusto.

Dando per scontato il fatto che Pacific Rim sia un film di genere, resta da stabilire a che genere appartenga: una questione molto più complicata di quanto possa sembrare a una prima occhiata. Una considerazione superficiale presentata da più parti lo indica come derivativo di certo cinema orientale di mostri, il cosiddetto filone kaijū eiga; altri vedono l'ispirazione in anime anni Novanta come Neon Genesis Evangelion, altri ancora nei vecchi cartoni robotici di Go Nagai.

A un esame più attento si potrà notare come nessuna di queste ispirazioni possa trovare una conferma piena, dato che l'impostazione del film non mutua praticamente niente dai kaijū eiga (se non il nome dei mostri alieni), non ha né il design né l'impatto filosofico dell'anime di Hideaki Anno, non possiede l'ingenuità delle pur ottime produzioni del Nagai anni Settanta. I commentatori del nostro Paese, tra l'altro, dovrebbero rendersi conto che una visione italocentrica della gestazione del film rischia di essere controproducente per le loro analisi, dato che negli Stati Uniti Goldrake & Co. sono praticamente sconosciuti.

A ciò aggiungo che, come confermato dal regista Del Toro in numerose interviste, una delle ispirazioni principali è stata fornita dai lavori di Ray Harryhausen. Prescindendo dunque da giudizi da "fan", voglio far notare che la tradizione americana relativa ai mostri giganti ha un ruolo centrale nello sviluppo di Pacific Rim, partendo da King Kong per arrivare a The beast from 20,000 fathoms e tutti i film anni Cinquanta di fantascienza con animazioni in stop motion; questi diventano dei progenitori più autentici rispetto ai mostri in tuta del lontano Oriente, un genere con una sua dignità estetica autonoma, ma che appare diversa nella sostanza.

Detto questo, allora cos'è in conclusione Pacific Rim? Si tratta di una rielaborazione, o sintesi, di tutto ciò che abbiamo elencato sopra, aggiungendo ancora il film di fantascienza classico e il film catastrofico. C'è inoltre la magnificenza tutta kirbyiana dei fumetti di mostri e la decadenza del proto-cyberpunk à la Blade Runner.

2. Genere non degenerato

Una sintesi, dunque, di quasi quarant'anni di cinema fantascientifico: Guerre Stellari è del 1977 e con Pacific Rim condivide l'atteggiamento vòlto all'adattamento e integrazione di certo cinema orientale, piuttosto che alla semplice ispirazione.

L'assurdo comportamento di certa critica, che continua a voler giudicare questo cinema con metriche inadatte, mi stupisce ancora oggi. In particolare, mi ha colpito chi ha commentato la pellicola parlando di cliché o termini simili. Sarei felice di dare a queste persone un benvenuto nel mondo del cinema di genere, che giocoforza ha le sue regole, perfettamente mutuate da secoli di narrativa analoga.

Ciò che viene erroneamente confuso con un cliché è il semplice l'uso dei "caratteri", cioè personaggi con caratteristiche proprie, che nel film interpretano un ruolo ben definito. Rimproverare una mancanza di tridimensionalità a un carattere è, più o meno equivalente a guardare il Settimo sigillo e far notare che in fondo non è male, ma mancano le scene di azione e le esplosioni.

Si potrà notare quanto in Pacific Rim invece ogni personaggio abbia un suo percorso evolutivo, tendente sempre a una qualche forma di salvezza, redenzione o crescita. Pentecost completa la sua esperienza di vita nello stesso momento in cui il giovane pilota di Striker Eureka riscatta la sua iniziale arroganza; il protagonista Becket supera il lutto per la perdita del fratello, nello stesso modo in cui Mako Mori riesce finalmente a convivere col ricordo della morte della propria famiglia.

Siamo di fronte alla sintesi di un background tematico multiforme, che in Pacific Rim trova nuova gloria e maturità: ciò però non è avvenuto, a differenza di certe tendenze fumettistiche anni Ottanta à la Watchmen, mediante la decostruzione, la critica feroce e l'esasperazione del realismo violento. Il film della Legendary è un perfetto esempio di genere che non degenera, ma anzi celebra ed esalta tutte le fonti originarie di ispirazione.

3. Un brand originale

Una cosa che non è stata fatta notare a sufficienza nei commenti è l'importanza di Pacific Rim in quanto brand originale, cioè che non deriva da nessun altro media esterno, sia esso un libro, un videogioco, una serie tv o altro ancora. In questo senso, il paragone coi vari film dei Transformers appare davvero fuori luogo.

In un momento storico in cui le major cinematografiche capitalizzano le loro vecchie proprietà intellettuali con remake e reboot, l'operazione della Legendary Pictures appare davvero coraggiosa. Se ciò avrà successo oppure no dipenderà da molti fattori, in primis l'efficacia del marketing sui vari tie-in (videogiochi, fumetti) e gadget, nonché la campagna pubblicitaria che avverrà in occasione delle uscite home video.

Affinché un marchio si possa affermare, deve necessariamente far entrare qualche frase o nome nel linguaggio comune degli appassionati: vedremo per quanti anni si parlerà del drift oppure se la forza iconografica ed evocativa di una Gypsy Danger o di un Cherno Alpha resisteranno al passare del tempo. Vedremo anche quante parodie sorgeranno, quanti modi di dire si affermeranno. Allo stato attuale le premesse sono buone, sperando che un eventuale sequel possa consolidare definitivamente questo nuovo universo in espansione.

C'è da dire che i creatori di Pacific Rim hanno sicuramente interiorizzato la lezione tolkieniana del suggerire, piuttosto che spiegare esplicitamente, il background dell'ambientazione. In questo senso, l'introduzione al film è una delle migliori mai concepite negli ultimi anni, che trascina lo spettatore all'interno della trama senza mai sembrare un noioso "spiegone".

Si assiste, in conclusione, alla narrazione di un'epica, sia nel tempo che nello spazio. Un'epica che peraltro risulta sorprendente in più punti: colpisce soprattutto l'estetica decadente che sembra permeare l'intera pellicola, con gli Jeager che vengono danneggiati, cigolano, sbuffano vapori, perdono pezzi e si rompono: sono armature sopravvissute allo scorrere degli anni e alle varie generazioni, che resistono a volte quasi per miracolo. Armature raffazzonate e sporche, guidate da cavalieri disperati contro un nemico apparentemente invincibile.

3 commenti:

  1. ora lo voglio vedere di nuovo... :D

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  2. Una splendida analisi per un film che sul lungo periodo sarà ricordato come il capostipite di un nuovo genere

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  3. Prima di tutto, grazie. Condivido il fatto che Pacific Rim rappresenta un punto di svolta per l'evoluzione dell'immaginario fantascientifico e, senz'altro, è un film che si presta volentieri a essere visto e rivisto :)

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