di Andrea Pachetti
Fredric Wertham è un nome attualmente sconosciuto ai più, ma che è rimasto impresso nella mente di molti appassionati di fumetti come uno dei più grandi "nemici" di questo medium: l'eminenza grigia dietro alla crociata americana anti-fumetti avvenuta nel dopoguerra e culminata con l'introduzione del Comics Code e la chiusura di centinaia di testate.
Non è mia intenzione compiere un'analisi di un fenomeno così complesso: il compito è già stato svolto egregiamente da The Ten-Cent Plague, un ottimo saggio di David Hajdu pubblicato negli Stati Uniti, che ha avuto anche un'edizione italiana per i tipi di Tunué (2010), testo al quale rimando. Un'introduzione ideale al lavoro di Hajdu è quella fornita dal commento del critico canadese Jeet Heer, da me tradotto in passato per il blog Conversazioni sul Fumetto.
Tra le interessanti osservazioni di Heer, una in particolare è illuminante: «Il movimento anti-fumetti del dopoguerra, un’incredibile esplosione d’isteria indotta dai media ha avuto origine negli Stati Uniti, ma con ripercussioni in molti altri paesi, tra cui l’Inghilterra, il Messico, Taiwan, le Filippine e il Canada.» Anche l'Italia, aggiungo.
Citando un altro recente volume di critica fumettistica, in Eccetto Topolino Gadducci, Gori e Lama hanno descritto la storia editoriale del fumetto nel nostro paese dal 1932 fino alla Liberazione, focalizzando l'attenzione sui rapporti conflittuali con il regime fascista. I fatti successivi sono invece un mondo ancora in parte da analizzare, partendo dalla proposta di legge Federici, che proponeva una censura preventiva sulle pubblicazioni e che fece scatenare un grande dibattito parlamentare, fino ad arrivare all'istituzione del comitato di «Garanzia Morale».
Così Sergio Bonelli (citato nella tesi dello sceneggiatore Moreno Burattini) commentava la situazione del periodo: «(...) io e tutti gli altri editori del settore vivevamo nel panico, e non potevamo aspettare che quella spada di Damocle cadesse. Dunque, corremmo ai ripari, usando le stesse "armi" del "nemico": istituimmo cioè una nostra "commissione di autocensura", con tanto di marchio che appariva sulle pubblicazioni ("MG", Garanzia Morale)»; un percorso analogo, dunque, a quello che condusse al Comics Code americano.
Nella tesi vengono descritti anche alcuni esempi atti a mostrare il clima del periodo, come «una raccolta di brevi testi teatrali per bambini da mettere in scena sui palchi degli oratori e delle parrocchie, edito dai salesiani, opera di Enrico Grasso e intitolato Mascherine, Teatro fiabesco per piccoli e grandi» oppure «un giornale propagandistico intitolato Mammina, me lo compri?, distribuito presso la Parrocchia di Cristo Re, a Roma» in cui «i pregiudizi e moralismi assurdi che circolavano con disinvoltura sono efficacemente rappresentati al gran completo».
Questo scritto vuole essere un contributo in tal senso, cercando di ricostruire una mostra organizzata a Roma nell'aprile del 1951 grazie alla consultazione di alcune fonti d'epoca: essa ebbe notevole eco, arrivando a essere citata in più occasioni durante il dibattito parlamentare relativo alla legge Federici. Sarà evitato qualunque commento critico o morale sui contenuti della mostra stessa, limitandoci alla fredda cronaca: ritengo giusto lasciare questo compito solo a chi voglia arrogarsi tale peso, quasi sempre peraltro senza averne né le capacità né il diritto.
La «Mostra dei periodici per ragazzi» fu organizzata dal Fronte della famiglia a Roma presso Palazzo Marignoli e poi, itinerante, si spostò in varie città d'Italia, tra cui «Viterbo, Firenze, Modena, Trieste, Venezia e Trento». Possiamo ricostruirne la struttura grazie a un filmato appartenente a «La Settimana Incom», forse il più noto dei Cinegiornali del dopoguerra, diretto da Sandro Pallavicini.
Nel numero 583 del 20 aprile 1951 uno dei servizi, intitolato: «Cosa leggono i nostri ragazzi» mostra i «malefizi e benefizi della carta stampata in una Mostra dei periodici per ragazzi», almeno secondo la descrizione presente sul nulla-osta ministeriale n. 9839 (visibile sul sito Italiataglia). Il filmato è consultabile grazie alla preziosa opera di conversione operata dall'Istituto Luce nel suo archivio digitale, a cui ovviamente appartengono i diritti anche sui fermi immagine riprodotti in questa sede, utili solo a fini descrittivi.
La mostra appare assai suggestiva, utilizzando i linguaggi della persuasione e della propaganda per mischiare dati statistici, frasi a effetto, immagini forti e una notevole abilità retorica. Nella parte sinistra è possibile notare la riproduzione di un'edicola, dove però manca il proprietario al centro ed è sostituito da una grande scritta, secondo la quale i genitori «possono acquistare giornalini con gli occhi bendati. Tra i buoni e i cattivi, che una edicola espone, abbiamo raccolto questi ritagli dalle mani dei vostri ragazzi». Si noti l'efficacia comunicativa: i fumetti non sono semplicemente cercati, ma «raccolti dalle mani».
I ritagli sono poi presentati a lato, classificati in alcuni pannelli secondo varie tematiche violente, da sinistra a destra: "delitto", "omicidio", "sensualità" e "violenza". Sono sormontati da una scritta in armonia con la semantica della precedente e che descrive «un mondo irreale, disumano, violento» in cui «non si fa mai il nome di Dio, della Mamma, del Lavoro» e poi «Questi sono i criminali che leggono gli eroi della cronaca nera». Una tecnica simile era stata usata dallo stesso Wertham: anche le pagine centrali del volume Seduction of the innocent contenevano infatti vignette estrapolate dai comic book dell'epoca.
Ma chi sono gli «eroi della cronaca nera» a cui ci si riferisce? Quasi sempre le crociate anti-fumetti hanno origine da un fatto di cronaca particolarmente cruento, che colpisce l'opinione pubblica e viene sfruttato per costruire consenso in relazione alla crociata stessa: il 1951 anticipa quindi tutti i fatti successivi e analoghi, dalla denuncia contro l'Intrepido (causata dal suicidio di due studenti in un liceo milanese) fino al noto delitto di Perugia, in cui il ritrovamento di alcuni manga causò servizi giornalistici di assurdo tenore, atti a colpevolizzare esclusivamente manga come Devilman o Trigun.
Tornando al caso in oggetto, il fatto di cronaca è descritto da un parlamentare come quello del «piccolo T. B. di Bologna, ucciso dal ragazzo A. M. nel novembre 1949». Il problema fu che «tra le carte del disgraziato M., che a 14 anni ha ucciso il piccolo B., affogandolo in un corso d’acqua fuori di Bologna, sono stati trovati racconti a fumetti in cui il ragazzo aveva sottolineato in rosso i modi che avrebbe seguito nel sopprimere il bambino». Da notare che il «fatto terribile, che ha commosso tutta l’Italia» sia stato ormai completamente dimenticato, dato che non se ne trova a oggi alcuna traccia in Rete. Nella mostra invece esso è posto bene in evidenza da una freccia orientata che contiene una rassegna stampa e conduce a un dipinto dei protagonisti della delittuosa vicenda. Ecco dunque il nostro «eroe nero», A.M.
Come nell'antica didattica, è utile dividere i "cattivi" dai "buoni": lo stesso fatto di cronaca viene descritto dai primi e dai secondi, o almeno così appare secondo i dettami morali dei curatori. «La stampa cattiva favorisce la vanità ed eccita la sensualità» mentre «la stampa buona presidia i sentimenti delicati delle fanciulle e le indirizza verso ideali familiari e sociali». Tornerò tra poco sulle descrizioni relative al mondo femminile; segnalo invece che, tra le statistiche propugnate, colpisce il fatto che «a Roma un ragazzo di dodici anni legge in media ogni settimana quattro periodici» e «i ragazzi ne moltiplicano la lettura in appositi mercatini».
Cosa fanno dunque i genitori? Non vigilano, incuranti del pericolo. Mentre però il padre in comoda giacca da camera legge un quotidiano, la madre viene ritratta con uno sciocco fotoromanzo e mostrata intenta a fumare, come circondata da una foschia di indifferenza e perdizione. La bambina è sullo sfondo, mentre lègge le infami aberrazioni a fumetti con sguardo vitreo.
L'ultimo pannello è senz'altro il più efficace, dato che fa appello al mondo dei sogni e degli incubi; questo, sempre secondo le cronache parlamentari, è «dipinto da Ercole Brini» e «raffigura un bambino che dorme sereno; ma su lui come un incubo si addensano ogni sorta di diavolerie: un uomo in atto di sgozzarne un altro, un mostro che digrigna i denti, una donna scarsamente vestita e in atteggiamento procace; immagini tutte tratte da fumetti ingranditi, minaccianti il sonno ancora tranquillo del bimbo».
L'analisi appena conclusa certo non esaurisce l'argomento, ma anzi rappresenta solo un piccolo spunto per trattazioni più approfondite.
Nota (14/05/2015): Ringrazio Gianni Bono per aver citato questo articolo sul sito Guida al Fumetto Italiano, a mia volta rimando all'eccellente approfondimento sul Convegno Internazionale di Milano del 1950.
Nota (05/01/2017): Ringrazio Andrea Patassini del Laboratorio di Tecnologie Audiovisive dell'Università Roma Tre per le citazioni e i commenti positivi su questo scritto nel suo articolo I fumetti sono pericolosi! Dibattito italiano attorno ai fumetti nel 1951. Patassini è poi tornato sull'argomento censura e fumetti in Fumetti al rogo! Critica e contrasto ai fumetti tra Italia e Stati Uniti negli anni Cinquanta.
Nota (16/04/2020): Ringrazio Francesco Manetti per la citazione nella sua interessantissima retrospettiva sul panico sociale generato dai fumetti horror, che tra l'altro propone integralmente il noto articolo dell'Espresso "Che horror!" del 1990.
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