di Andrea Pachetti
Visto che questo blog è sempre più destinato alle memorie (sia recenti che remote), ho pensato che sarebbe stato giusto dedicare uno spazio a Paul Ryan, disegnatore scomparso all'inizio di marzo.
Ho atteso un po' di tempo prima di pubblicare l'articolo, per evitare di scadere nella retorica da necrologio tipica dei portali commerciali a fumetti: secondo questa dottrina
si evita di parlare di un certo autore (magari non particolarmente famoso) fino al momento della sua morte e, una volta avvenuto il fatto, ci si limita a scrivere un articoletto in cui si citano, senza peraltro descriverli, due-tre delle opere più importanti; nei giorni immediatamente successivi tutto cadrà nel dimenticatoio, di nuovo.
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Fonte: Marvel Age #134 |
Lodare acriticamente ogni lavoro di Ryan giudicandolo un capolavoro è dunque sciocco, almeno quanto pensare che ogni sua cosa sia priva di valore. Da appassionato dei
Fantastic Four senz'altro considero la
run sul gruppo assieme a Tom DeFalco una delle sue opere più importanti in Marvel, sebbene sia da considerare altrettanto ben riuscita la serie
D.P. 7 del New Universe, scritta da Mark Gruenwald, dal 1986 al 1989. Peraltro, questa fu l'unica serie del N.U. pubblicata integralmente in Italia, dapprima sullo spillato omonimo e poi in appendice al Namor della
Play Press.
Fantastic Four invece ebbe il merito, nel nostro Paese, di segnare il passaggio tra la gestione
Star Comics e la
Marvel Italia ottenendo alcuni commenti positivi, ma anche critiche feroci per delle scelte piuttosto radicali sia nell'evoluzione delle trame che nel design dei personaggi. Spesso ci si dimentica infatti che le testate Marvel del periodo dovettero fronteggiare l'emorragia di lettori a causa della creazione della Image Comics, che spostò radicalmente il gusto dei giovani americani. I FF di DeFalco e Ryan rappresentarono proprio l'interessante compromesso tra la tradizione Marvel degli anni Sessanta e le tendenze moderniste dei nuovi autori che "andavano di moda".